Da lamusicaintorno.blogspot.com di Maurizio Mazzacane
domenica 19 giugno 2011
In piazza con Sinatra e Porter
Lo confessiamo: diffidiamo (e non poco) delle big band. Non perchè ne disconosciamo il contributo enorme offerto al jazz del novecento, al processo di divulgazione della musica nelle fasce più popolari dei cinque continenti e a una corposa quantità di artisti: cresciuti e fortificati da esperienze di palco e di prove, migliorati da incontri e collaborazioni, cullati dall’interazione che solo un lavoro di gruppo può assicurare. E neppure perché sottovalutiamo lo spessore degno della gavetta: e sì, in quanto, molte volte, big band significa arrampicarsi su un mondo che si apre. Ci delude, semmai, quella brutta abitudine di sacrificare le big band e il loro bagaglio culturale ai concetti del mero diversivo da piazza, al riempitivo che fa audience, alla facilità di espressione che ammazza la qualità per acaparrarsi un consenso più facile, più immediato. Almeno in Italia. Big band, da noi, da troppo tempo, significa standard duplicati da sempre (e sempre gli stessi), spettacoli annacquati e commerciali, buoni a garantirsi il cachet, arrangiamenti sbrigativi o pressapochisti che provano a catturare un pubblico eterogeneo e, dunque, non troppo esigente. Senza, in realtà, dare nulla. E, quindi, causa di live senz’anima, senza garbo, stucchevoli.
(continua...)
domenica 19 giugno 2011
In piazza con Sinatra e Porter
Lo confessiamo: diffidiamo (e non poco) delle big band. Non perchè ne disconosciamo il contributo enorme offerto al jazz del novecento, al processo di divulgazione della musica nelle fasce più popolari dei cinque continenti e a una corposa quantità di artisti: cresciuti e fortificati da esperienze di palco e di prove, migliorati da incontri e collaborazioni, cullati dall’interazione che solo un lavoro di gruppo può assicurare. E neppure perché sottovalutiamo lo spessore degno della gavetta: e sì, in quanto, molte volte, big band significa arrampicarsi su un mondo che si apre. Ci delude, semmai, quella brutta abitudine di sacrificare le big band e il loro bagaglio culturale ai concetti del mero diversivo da piazza, al riempitivo che fa audience, alla facilità di espressione che ammazza la qualità per acaparrarsi un consenso più facile, più immediato. Almeno in Italia. Big band, da noi, da troppo tempo, significa standard duplicati da sempre (e sempre gli stessi), spettacoli annacquati e commerciali, buoni a garantirsi il cachet, arrangiamenti sbrigativi o pressapochisti che provano a catturare un pubblico eterogeneo e, dunque, non troppo esigente. Senza, in realtà, dare nulla. E, quindi, causa di live senz’anima, senza garbo, stucchevoli.
(continua...)